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1 kg di pancia di vitello per cima
100 g di fesa di vitello
100 g di cervella di vitello
60 g di animelle di vitello
50 g di laccetti di vitello
50 g di piselli
50 g di carote
35 g di parmigiano reggiano
30 g di mirepoix
75 ml di vino bianco
6 uova
1 cucchiaio di maggiorana
1 cucchiaio di pinoli
1 piccolo scalogno
1 noce di burro
Q.B. sale e pepe
Buona giornata della "cima alla genovese" a tutti, stiamo celebrando un grande piatto della tradizione ligure per il calendario italiano del cibo dove la nostra ambasciatrice di giornata Silvia Leoncini de "La Masca in cucina", ci parlerà molto di questo piatto. Chi è ligure può sicuramente raccontarvi anedoti e storie di fanciullezza che rimandano a questa grande ricetta. Nata come pratica di riciclo in cucina, è presto divenuta un gioiello della cucina ligure e un ottimo secondo piatto della tradizione, di quelli da servire nelle grandi occasioni e nello specifico nei pranzi di Natale e di Pasqua. Come accennato prima, questa ricetta veniva preparata allo scopo di recuperare ingredienti poveri e "scarti" di cibo; a tale scopo bisognava procurarsi un pezzo di pancia di vitello, lo si cuciva, quindi si farciva con il ripieno a base di frattaglie di macellazione, uova, verdura, formaggio e odori tra cui l'immancabile"pèrsa" (la maggiorana). Si finiva di cucire l'imboccatura con ago e filo e si cucinava nel brodo. Il risultato ottenuto era un trionfo di profumi e di gusto. La ricetta della Cima attraversando i secoli le ha consentito di essere inserita nell'elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Pensate che diversi personaggi famosi hanno "cantato" le lodi di questo piatto, ma c'è anche chi lo ha fatto letteralmente! Il grande "Faber" gli dedicò appunto una canzone i cui versi rimandano a gesti e parole utilizzati dai liguri e tramandate dalla saggezza di nonne e mamme, in cui sacro e profano si univano.
Cantata rigorosamente in dialetto genovese, Fabrizio De Andrè (grande appassionato di cucina) descrive la preparazione di questa ricetta come un vero e proprio rituale. Per il cantautore, quando si prepara la cima bisogna mettere una scopa di saggina in un angolo: così, sarebbe impossibile per una Bàsura (strega in genovese) maledire il cibo. Prima, infatti, dovrebbe contare le paglie della scopa e in questo tempo la cima sarebbe già pronta. Sempre nella canzone, si racconta che il compito di tagliare la prima fetta sia dello scapolo. Tutto ciò si rifà a tradizioni, miti e leggende del genovesato, ma anche a storia vera (a proposito di streghe, sappiate che Genova e la Liguria ha avuto le sue ed alcune sono state bruciate vive all'interno delle sue mura medioevali). Godiamoci dunque i versi di De Andrè ...
 çímma
Ti t’adesciâe ‘nsce l’éndegu du matin
ch’á luxe a l’à ‘n pé ‘n tèra e l’átru in mà
ti t’ammiâe a uo spégiu de ‘n tianin
ou çé ou s’amnià a ou spegiu dâ ruzà
ti mettiâe ou brûgu réddenu ‘nte ‘n cantún
che se d’â cappa sgûggia ‘n cuxín-a á stría
a xeûa de cuntâ ‘e págge che ghe sún
‘a çimma a l’è za pinn-a a l’è za cûxiaÇé serén tèra scûa
carne ténia nu fâte néigra
nu turnâ dûa
Ti sveglierai sul’indaco del mattino
quando la luce ha un piede in terra e l’altro in mare
ti guarderai allo specchio di un tegamino
il cielo si guarderà allo specchio della rugiada
metterai la scopa diritta in un angolo
che se dalla cappa scivola in cucina la strega
a forza di contare le paglie che ci sono
la cima è già piena è già cucita
Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
Bell’oueggé strapunta de tûttu bun
prima de battezálu ‘ntou prebuggíun
cun dui aguggiuîn drítu ‘n púnta de pé
da súrvia ‘n zû fítu ti ‘a punziggè
àia de lûn-a végia de ciaêu de négia
ch’ou cégu ou pèrde ‘a tèsta l’âse ou senté
oudú de mâ miscióu de pèrsa légia
cos’âtru fâ cos’âtru dàghe a ou çé
Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima di battezzarla nelle erbe aromatiche
con due grossi aghi dritto in punta di piedi
da sopra e sotto svelto la pungerai
aria di luna vecchia di chiarore di nebbia
che il chierico perde la testa e l’asino il sentiero
odore di mare mescolato a maggiorana leggera
cos’altro fare cos’altro dare al cielo
Çé serén tèra scûa
carne ténia nu fâte néigra
nu turnâ dûa
e ‘nt’ou núme de Maria
tûtti diài da sta pûgnatta
anène via
Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di Maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via
Pio vegnan a pigiàtela i câmé
te lascian tûttu ou fûmmu d’ou toêu mesté
tucca a ou fantín à príma coutelà
mangè mangè nu séi chi ve mangià
Poi vengono a prendertela i camerieri
ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere
tocca allo scapolo la prima coltellata
mangiate mangiate non sapete chi vi mangerà
Çé serén tèra scûa
carne ténia nu fâte néigra
nu turnâ dûa
e ‘nt’ou núme de Maria
tûtti diài da sta pûgnatta
anène via
Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di Maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via.
Bellissima non trovate, vi consiglio di visitare il sito della "fondazione Fabrizio De Andrè", troverete gli appunti di Faber per la canzone a cima. Ma torniamo alla ricetta, ovviamente non ne esiste una sola versione, ma infinite varianti dettate da gusti e tradizioni familiari; tuttavia possiamo distinguerne almeno due tipologie, una imperiese e una genovese. La prima realizzata in forno, la seconda la più classica e antica lessata in brodo. Il rituale della preparazione è sacro per un ligure, vi assicuro che se parlerete con qualche anziano vi racconterà gesti e anedoti intorno a questo piatto davvero unici. Servito con salsa verde è il piatto freddo per eccellenza della cucina ligure, ma per non farci mancare nulla vi invito a gustarlo tiepido con un delizioso contorno di verdurine saltate nel burro. A voi la ricetta ...
Tipologia Secondi di carne
Difficoltà ««««
Costo € €
Tempo di preparazione 2 ore
Tempo di cottura 2 ore
kcal/100 gr
bowl grande, pentola per bollire, padella, ago e spago da cucina, telo di lino bianco
Prendete una capiente pentola e riempitela di acqua fredda, aggiungete quindi le verdure per il brodo (1) e lasciate bollire per una quarantina di minuti aggiustando di sale. Mettete sul fuoco una pentola e portate ad ebollizione, salate dopo di che aggiungete i piselli e le carote tagliate a cubetti (2-3), lessandoli per 5-6 minuti dalla ripresa del bollore.
Nel frattempo pulite la pancia di vitello dal grasso (4), allineate i bordi in modo da poterla cucire (5), quindi prendete ago e filo da cucina e iniziate a chiudere il perimetro con un "punto festone" (6), lasciando una fessura sull'ultimo lato per
poterla poterla riempire. Tritate finemente la maggiorana, lo scalogno e grossolanamente le frattaglie (7-8-9), mettete a
scaldare una padella sul fuoco con il burro e rosolate la mirepoix e lo scalogno (10); tritate i pinoli (11) ed aggiungeteli al soffritto. Trascorsi un paio di minuti iniziate a rosolare la fesa di vitello tagliata a pezzetti (12); dopo due minuti
aggiungete le frattaglie (13), cuocete a fiamma vivace per un minuto, quindi sfumate il tutto con il vino bianco (14).
Quando il vino sarà pressochè evaporato, aggiungete la maggiorana (15) e mescolate delicatamente, quindi togliete
dal fuoco e fate raffreddare. Prendete ora la bowl e sbattete le uova al suo interno, aggiungete il mix di carne (16), le verdure (17), il parmigiano e mescolate. Ponete la tasca di vitello all'interno di un contenitore e fissate con qualche molletta i lembi di carne alla parete per agevolarvi il riempimento; versate il contenuto della bowl al suo interno (18)
quindi finite di cucire la tasca stessa (19). Verificate che non ci siano perdite (20-21) girando e muovendo la sacca,
dopodichè prendete il telo di lino e avvolgetelo intorno alla carne (22). Legate le estremità a caramella (23) e ponetelo a cuocere nella pentola con il brodo caldo (24). La funzione della stoffa è quella di trattenere il ripieno in caso scoppi
la sacca. Bollite la cima per 3 ore circa, girandola di tanto in tanto nella prima ora. Trascorso questo tempo estraete il fagotto e ponetelo sotto peso (25-26), in maniera da dargli la classica forma e di far uscire l'eventuale brodo interno.
Fate raffreddare, quindi estaretela dal telo e ponetela su di un tagliere per affettarla (27). La tradizione (come
descritto nella canzone di Faber), vorrebbe che la prima fetta venga tagliata dallo scapolo, come segno augurale; sevite la cima o fredda con una salsa verde con prezzemolo, oppure come nel nostro caso tiepida, insieme a verdure bollite (carotine, fagiolini e cipolle borettane) saltate nel burro e glassate (28). Non dimentichiamoci una leggera macinata di pepe di mulinello che ben si sposa con il ripieno di questo delizioso piatto.
Bella vero? Un tripudio di profumi e colori per il piatto freddo principe della cucina ligure. Dimenticavo due consigli importanti! Se volete servire la cima tiepida affettatela e distribuitela in un vassoio, quindi prendete il telo in lino lo bagnate nel brodo, lo stizzate un poco e coprite le fette che passerete nel forno a 60° per dieci minuti.
Il secondo consiglio è quello di recuperare la cima avanzata passando le fette nell'uovo e nel pangrattato e friggendola. Deliziosa anche in questa maniera soprattutto se accompagnata da una croccante insalata. Non dimenticatevi di usare il brodo della cima, è assolutamente buonissimo.
Vino consigliato: Ormeasco di Pornassio DOC - Cascina Nirasca
È un articolo così bello che l'ho letto due volte!
Il passo passo delle foto poi è molto esplicativo
Avrei dovuto farlo anch'io. Ma era sera e la luce orribile. Per fortuna lo hai fatto tu!
Davvero un articolo completo, esaustivo e... ligure, cioè scritto da dentro e non appiccicato da fuori.
Complimenti